Boccacce che non stanno mai zitte, sempre pronte a giudicare questa e quella, raccontano di una presidente Meloni in Abruzzo al grido di “Io ci metto la faccia” a rinverdire la solita solfa della granitica unità della destra, con un Salvini scalpitante fuggito via verso “altro da fare”, non appena finita la kermesse dove la signora presidente è persino troppo diva.
Il fronte di Governo è compatto, le coltellate se le danno da dietro, ma con tutte queste boccacce in giro, si sa tutto di tutti. E non mai vero quello che luce. Oggi tocca a Schlein, amata dagli alleati come un dito in un occhio, che però esce dalla vittoria in Sardegna mentre la beata Meloni del Santo Granito dell’Unità in Sardegna ha perso (ma c’ha messo la faccia e non si capiva chi altri poteva mettercela se non lei). La situazione abruzzese è per molti versi simile: il Marsilio e terz’ultimo tra i Governatori d’Italia nel giudizio degli elettori a pari merito con quel mostro di simpatia di Giani, renziano dalla Toscana con furore; il Marsilio è imposto da Meloni come governatore uscente esattamente come fu imposto la volta scorsa. Ciò che va bene una volta non è detto che si ripeta. Vale anche per Schlein, ma quest’ultima sembra – ultimamente – leggermente più lucida. E mentre Meloni si dichiara offesa per gli attacchi che arrivano dai ministri del suo Governo – quando è lei a sparare su tutti – trionfa l’assentesismo di Salvini nella occasioni che contano: quelle del c’eravamo tanto amati.
Così tra un presidente di Regione che parla dell’Abruzzo come di una terra “tra tre mari [sic] Adriatico, Ionio e Tirreno” e di programmi nemmeno l’ombra, e finanziamenti promessi per modernizzare trasporti (come, quando e perché lo sapremo dopo le elezioni) sembra di essere entrati nell’incubo 2.0 del sogno meloniano: perdere anche in Abruzzo. Non per augurarglielo, ma non è detto che non le riesca.
(6 marzo 2024)
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