di Daniele Santi
Inizieremmo con uno slogan “Let’s marche (Italy, of course)” che non è proprio perfettamente coerente con le intenzioni di purismo linguistico vaneggiate da Rampelli, colonnello di fratelli e sorelle più ex cognati d’Italia, e della sua proposta di legge sull’uso “corretto della lingua italiana e della sua pronunzia”. Pronunzia, of course.
Di tanta finezza culturale sorelle, fratelli e ora ex cognati d’Italia fecero strami, nonostante la profonda saggezza dell’Art.2 dell’augustissima rampelliana proposta che recitava: “La lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale” specificando che gli enti pubblici e privati “sono tenuti a presentare” in lingua italiana qualsiasi documentazione “relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale”, continuando poi con l’ordine di fare in modo che “ogni informazione presente in un luogo pubblico “ovvero derivante da fondi pubblici” doveva “essere trasmessa in lingua italiana”.
Esilarante quella roba che stava all’articolo 4 il quale specificava come “Chiunque ricopre cariche” all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni fosse “tenuto” alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana. Chissà se parlava a sorella perché ex cognato sentisse.
In buona sostanza della proposta di Rampelli, se ne fregarono. Tutte e tutti. Tant’è vero che persino questi qua delle Marche passano come rulli compressori sull’idea meravigliosa del Rampelli e si rendono complici del dominio dell’anglofonia, inventandosi uno spot pubblicitario che recita “Let’s Marche (Italy of course”) al quale si augura migliore fortuna del disgraziato “Open to meraviglia” costato un occhio e una gamba e servito, dicono, a pochissimo. Ma sono i soliti pettegoli comunisti e mica si può dargli retta.
E’ il governo del marco il territorio per far vedere che esisto, mica perché quello che propongo abbia un senso, un seguito e un voto finale.
Perché a loro, a queste signore e signori, non interessa il risultato, ma solo far vedere chi è che comanda. Chi è al potere. E quando sei così impegnato a mostrare al mondo quanto sei importante, poi per promuovere leggi che siano in linea coi tempi, che abbiano un senso per chi le propone e per chi le riceve (a partire dalla parte politica che ti sostiene), non ne rimane.
E i risultati sono esilaranti e si ricordano per tramandarli ai posteri che, se ci va bene, un po’ di testa in più di questi che hanno votato sempre chi gli prometteva il paradiso per ingropparseli meglio – salvo poi aspettare un nuovo uomo (una nuova uoma) forte che con due idee raffazzonate, un qualche grido, un qualche inno alla potenza dell’Italia e a quello che l’Italia meriterebbe (perché quello che merita ce l’ha già), riesca a ingropparseli di nuovo. Con tanti saluti alla purezza della lingua e della pronunzia.
(28 dicembre 2024)
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